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La D&I è morta. Vivala D&I!

La D&I è morta. Viva la D&I!

Negli ultimi anni, la diversità e l’inclusione (D&I) hanno subito una trasformazione significativa, passando da un principio etico a un imperativo strategico per le aziende. Se inizialmente l’inclusione era promossa per il suo valore politico intrinseco, per il suo legame fondamentale con i principi di democrazia e libertà, oggi viene percepita sempre più come una necessità economica, sostenuta da numerosi studi che ne evidenziano i benefici concreti per le performance aziendali. Ricercatori di istituti rinomati, come Harvard Business Review e McKinsey, hanno dimostrato che le aziende che abbracciano politiche di diversità e inclusione registrano migliori risultati finanziari, con aumenti significativi di fatturato e margini operativi. In questo scenario di rinnovate tendenze, non adottare politiche di D&I è sembrato un rischio serio per i bilanci, soprattutto in un contesto lavorativo segnato da fenomeni come il “quiet quitting” e le “grandi dimissioni”.

Questa evoluzione ha portato con sé un effetto non proprio marginale per la vita democratica: il “Capitalismo Woke”. Molte aziende hanno iniziato a implementare politiche di inclusione non per un vero impegno verso i valori democratici che l’inclusione della diversità porta con sé, ma per migliorare la propria immagine e proteggersi dalle valutazioni di un mercato diventato improvvisamente ferocemente etico. L’inclusione è così diventata un mero strumento di marketing, un mezzo per vantarsi di una presunta superiorità etica, non sorretta da un’autentica adesione alle sue radici sociali e politiche. Questo approccio strumentale ha finito per svuotare di significato il concetto stesso di inclusione, riducendolo spesso e volentieri a una semplice operazione di facciata.

Inclusione: principio o strategia?

Questa transizione della D&I da principio etico a strategia economica sottolinea il pericolo di disconnettere la diversità dal suo significato più profondo, che è quello di creare una società aperta, democratica, solida nel suo divenire, priva di paure sociali dettate da stereotipi e ignoranza. Le politiche di D&I, per essere davvero efficaci, devono nascere da un impegno genuino radicato nella comprensione del valore fortemente democratico della sua natura, gestite con convinzione dal management e non essere affidate esclusivamente al reparto marketing.

Quando le aziende trattano l’inclusione come una tendenza passeggera o una strategia di mercato, ne compromettono il significato, rendendo esplicito come il loro impegno, la loro visione e la loro cultura politica sia fragile e suscettibile alle oscillazioni del mercato e alle pressioni sociali. Andare dove tira il vento non è mai stato un atteggiamento che crea fiducia e dà garanzie alle persone con cui vogliamo interagire. I consumatori sono i primi a sentirsi avvolti costantemente da qualche strategia di marketing fine a se stessa, senza una visione solida e una cultura radicata.

L’inclusione deve essere un valore intrinseco alla cultura aziendale, un principio che guida ogni decisione e azione all’interno dell’organizzazione.

Sostenere le politiche di D&I significa lavorare per far sì che si radichi un nuovo mindset aperto alla pluralità delle possibilità e alla pluralità delle interpretazioni legate a tali possibilità, significa innovare nel senso più largo, cioè acquisire gli strumenti per intraprendere con fiducia la strada di una continua contaminazione per questo non meno fedele alla propria identità.

La D&I è morta. Vivala D&I!

La D&I come lievito 

Considerare la D&I come il traguardo che placa la coscienza aziendale rende il percorso artificioso e tendenzialmente fallimentare per l’azienda e anche per i valori messi in campo. L’inclusione e la coabitazione di differenze non possono essere un fine in sé, né essere considerate come trofei da esibire una volta terminato un percorso formativo, ma chiedono un impegno costante, un percorso senza fine che attraversa ogni aspetto dell’azienda, in primis la sua cultura politica, la sua capacità di creare una visione aperta e plurale nelle strategie, nei processi e nella comunicazione. Solo attraverso un’adesione sostanziale a questo principio è possibile trasformare le differenze in opportunità. La DE&I dovrebbe essere intesa come il punto di partenza, come lievito capace di far crescere la cultura democratica aziendale in termini di benessere, valore della pluralità e innovazione e solo successivamente  come leva per il fatturato.

Questo percorso per definizione non può che essere una ridefinizione costante dei confini della composizione aziendale e del suo sviluppo, favorendo l’apertura, l’incontro con l’altro e lo sviluppo di processi di attrazione e integrazione del nuovo e del diverso.

 

Foto 1 di Bri Tucker su Unsplash

Foto 2 di Aarón Blanco Tejedor su Unsplash

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