People Analytics. L’uso dei dati per le persone
People analytics si occupa di raccolta, analisi e interpretazione di dati relativi ai dipendenti. L’uso dei dati sta rivoluzionando la gestione delle risorse umane, arrivando a diventare una skill necessaria per la funzione HR. La capacità di analizzare i dati offre potenziali vantaggi significativi per le aziende, come il miglioramento del processo decisionale e l’ottimizzazione delle performance. Tuttavia, con il crescente utilizzo di dati personali, emerge una questione etica del loro uso. È doveroso che le aziende adottino un approccio rispettoso e responsabile nell’implementazione di people analytics. Trattare i dipendenti come semplici numeri può facilmente violare la loro dignità e privacy, trasformando uno strumento con grandi potenzialità in una fonte di tensione e insicurezza. Pertanto,
l’integrazione di principi etici nei processi di people analytics non solo protegge i diritti dei dipendenti, ma contribuisce anche a costruire un ambiente di lavoro basato sulla fiducia, trasparenza e rispetto reciproco.
In questo approccio, l’uso etico dei dati diventa essenziale per valorizzare il contributo unico di ogni individuo, promuovere il benessere organizzativo e garantire che le decisioni aziendali siano allineate con i diritti fondamentali.
A cosa servono i dati
People analytics può includere dati demografici, prestazioni lavorative, tassi di assenteismo, livelli di engagement, feedback dei dipendenti e molto altro. L’obiettivo principale è utilizzare questi dati per comprendere meglio i comportamenti e le motivazioni dei dipendenti, identificare le aree di miglioramento e prendere decisioni strategiche che allineino le esigenze del personale con gli obiettivi aziendali. Uno dei punti di forza più significativi di people analytics è la capacità di migliorare il processo decisionale. Tradizionalmente, molte decisioni HR si basano sull’intuizione o sull’esperienza soggettiva, attitudini che serve preservare al meglio perché utili a comprendere la cornice etica e un uso responsabile dei dati, impedendo che gli individui siano ridotti con freddezza a quantità misurabili.
People analytics però offre un supporto imprescindibile, una base di dati oggettivi su cui basare le decisioni, riducendo il rischio di errori e bias.
L’analisi dei dati può aiutare a identificare i fattori che contribuiscono alla soddisfazione e alla produttività dei dipendenti, consentendo di implementare politiche che promuovano un ambiente di lavoro positivo e produttivo, oltre a offrire la possibilità di prevedere e prevenire problemi. Attraverso l’analisi dei dati storici, è possibile individuare trend e pattern che possono indicare potenziali problemi, come un aumento del turnover o un calo dell’engagement. Queste informazioni permettono di intervenire proattivamente, adottando misure correttive prima che i problemi si aggravino. Ad esempio, se i dati mostrano che un determinato reparto sta sperimentando un alto tasso di assenteismo, si possono indagare con l’uso dei dati le cause e adottare misure per migliorare le condizioni di lavoro in quel reparto. L’analisi dei dati può anche giocare un ruolo cruciale nel miglioramento della formazione e dello sviluppo del personale. Questo non solo aiuta i dipendenti a comprendere dove indirizzare il loro sviluppo professionale, ma assicura anche che l’azienda disponga delle competenze necessarie per raggiungere i suoi obiettivi strategici. Monitorando le performance e i progressi dei dipendenti, è possibile identificare le aree in cui sono necessarie ulteriori competenze e offrire formazione mirata.
La freddezza dei dati
Come accennato prima, nonostante i numerosi vantaggi, l’uso dei dati in ambito HR presenta anche alcune ombre e sfide che devono essere affrontate con attenzione. Una delle principali preoccupazioni riguarda la privacy e la sicurezza dei dati. I dati HR spesso includono informazioni sensibili e personali, e la loro gestione richiede un elevato livello di attenzione per garantire che siano protetti da accessi non autorizzati e da possibili violazioni.
Il pericolo più grande però è rappresentato dal rischio di ridurre le persone a semplici numeri. Numeri che devono generare numeri.
Sarebbe certamente tutto più semplice se fosse possibile, ma anche infinitamente più triste. Sebbene l’analisi dei dati possa fornire preziose informazioni, è importante ricordare che ogni dipendente è un individuo unico con le proprie esperienze e motivazioni e con una complessità incommensurabile. Un approccio eccessivamente focalizzato sui dati potrebbe portare a decisioni che non tengono conto delle esigenze individuali e del diverso contesto sociale in cui ognuno di noi è inserito. Pertanto, è essenziale bilanciare l’uso dei dati con un approccio empatico e umano alla gestione delle risorse umane. Questo a tutela non solo delle persone, ma anche dell’azienda che se non le riconosce come tali dovrà far fronte ad altri numeri, quelli del turnover, del quit quitting, della mancanza di engagement, di produttività, di passione, ingredienti imprescindibili per affrontare le sfide del futuro mondo del lavoro.
Semplificazioni distorsive
L’accuratezza dei dati è un altro aspetto critico da considerare. Per essere utili, i dati devono essere accurati e rilevanti. Errori nella raccolta o nell’interpretazione dei dati possono portare a decisioni sbagliate e avere conseguenze negative per l’azienda e i dipendenti.
È quindi fondamentale investire in strumenti e tecnologie di qualità per la raccolta e l’analisi dei dati, nonché formare adeguatamente il personale HR nell’uso di queste tecnologie.
La raccolta e la presentazione dei dati possono influenzare significativamente la realtà che si vuole mostrare. Tendiamo a organizzare i dati in modo che riflettano un orientamento predefinito, influenzando la risposta desiderata. Questo fenomeno, noto come “cherry picking”, consiste nella selezione dei dati che confermano le nostre ipotesi, ignorando quelli che potrebbero essere più rilevanti, ma meno in linea con la nostra percezione del fenomeno. Spesso questa selezione è intenzionale per sostenere la nostra interpretazione, altre volte è inconscia, influenzata dalla nostra cornice di riferimento, anche quando siamo consapevoli della sua esistenza. L’implementazione di un programma di people analytics richiede un cambiamento culturale all’interno dell’organizzazione.
Sempre di più l’insight lo troveremo preparato dalle macchine e noi dovremo saperlo usare con responsabilità e consapevolezza per renderlo funzionale allo scopo. Saremo sempre noi che dovremo imparare a contestualizzarlo in maniera corretta e soprattutto dovremo imparare a comunicarlo. Senza capacità di comunicazione il dato diventa inutilizzabile.
Non è certo possibile andare in riunione con un file Excel pieno di numeri e pretendere che altri riescano a raccapezzarsi. Come ha spiegato Enrico Serafini, durante la lezione “People analytics: l’uso responsabile dei dati”, il dato diventa potente solo quando diventa una storia, una narrazione.
Per concludere, quando si parla di dati e persone, di dati che vogliono essere al servizio delle persone e non di persone al servizio dei dati, dovremmo ambire a ottenere spunti interessanti e inediti per analisi, confronti e indagini ulteriori. Il dato serve più a comprendere intorno a cosa è utile ragionare piuttosto che farlo al nostro posto. Imparando a bilanciare l’aspetto statistico con quello umano, l’uso dei dati può aiutare a creare un ambiente di lavoro in grado di valorizzare le persone e grazie a questo garantire un maggior successo dell’organizzazione.
Foto 1 di Markus Spiske su Unsplash
Foto 3 di Markus Spiske su Unsplash
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